Ma per loro non c’è rispetto...
Fiction italiane e serie tv americane occupano circa il 22% della programmazione tv nazionale: il dato è emerso dal Telefilm Festival in corso a Milano fino all’11 maggio. Un successo dovuto soprattutto al buon rapporto tra costi e benefici. Peccato che però le reti tv non mostrino molto rispetto per i fans e per il pubblico in generale, tra cancellazioni, spostamenti e repliche selvagge anche delle serie più pregiate. “Ma tanto i telefim non si lamentano“, dice Giovanni Modina, coordinatore dei palinsesti Mediaset. Ne è davvero convinto?
Giovanni Modina è intervenuto due giorni fa al workshop organizzato dal Telefilm Festival, che ha messo di fronte produttori ed emittenti italiani che si sono confrontati sullo stato della serialità in Italia e sulle prospettive future.
Come è emerso nel corso del workshop sono 8.928 le ore di “telefilm” (termine generico con il quale sono categorizzate i prodotti di fiction italiani e stranieri dei format più disparati, dal film tv alla soap opera) trasmesse dalle reti generaliste italiane in chiaro, su un totale di 40.824 ore di trasmissione tra il settembre 2007 e l’aprile 2008.
Quasi il 66% (il 65,8%) arriva dall’estero. Un dato che conferma l’alto valore economico del prodotto seriale per la tv generalista: come ha osservato Giovanni Modina, vicedirettore contenuti Rti-Mediaset, “l’abbondante programmazione di serie e sit-com straniere, garantisce un risparmio economico e il raggiungimento del break even” senza gli sforzi produttivi necessari per la realizzazione di prodotto nazionale. Sul punto è intervenuto Roberto Giovalli, ex direttore Reti Mediaset, Telepiù e La 7, che ha invece messo in evidenza le criticità della produzione domestica, senza risparmiare stoccate allo star system italiano e alle storture del comparto produttivo nazionale. Ad esempio, riferendosi alle sit-com, Giovalli ha sostenuto che non sono un prodotto commerciale, ma vengono fatte per accontentare le ambizioni di alcune star, come Gerry Scotti o la Hunziker (giusto per non far nomi, n.d.r.) che pensano di elevarsi professionalmente interpretando il ruolo dell’attore per il quale molto spesso non sono preparati“.
Parole nette, che si accompagnano ad un’altra lista di accuse cui si deve, a suo avviso, la scarsa competitività del nostro prodotto rispetto non solo ai colossi statunitensi ma anche agli omologhi europei.”Le sceneggiature non sono ben curate, gli attori fanno schifo e i produttori si dividono la torta dei programmi tramite una sorta di manuale Cencelli, cioè una percentuale garantita per ognuno” ha continuato Modina, come riportato da Laura Rio per Il Giornale.
Dichiarazioni che non sono certo state accolte con serenità dai produttori presenti all’incontro. Giorgio Gori (Magnolia) si è affrettato a gettare acqua sul fuoco, sottolineando come Usa e Italia siano imparagonabili: “‘In America è diversa la professionalità dello star system, l’industrializzazione del sistema produttivo e la lingua. Serie come il Dr House, che all’estero toccano anche il 35% di audience, da noi non superano il 20, 24%, in Italia poi si produce poca fiction originale e soprattutto non lo fanno quei canali che avrebbero la vocazione per proporre qualcosa di diverso'’, ha concluso Gori, che ha poi suggerito a tutti di guardare piuttosto al modello spagnolo che negli ultimi anni ha venduto con successo ottimi format al mercato italiano (Un Medico in Famiglia, I Cesaroni, Hospital Central).
Dal canto suo Paolo Bassetti (Endemol) ha sottolineato le differenze dei meccanismi produttivi e delle abitudini di consumo seriale: “In America il prime time è molto più spezzettato, con episodi da 50 minuti ciascuno che fanno da traino l’uno all’altro mentre in Italia prevale ancora il prodotto da 100 minuti“. “In più - aggiunge Bassetti - la fiction nazionale è utilizzata solo da RaiUno e Canale 5, e in minima parte da RaiDue, mentre Italia 1 e le altri reti hanno poco budget per produrre fiction. In America si sperimenta di più, molte serie vengono buttate, poche hanno successo. E se una puntata va male, visto che lo scarto tra la produzione e la messa in onda è di 10-15 giorni, c’è il tempo per fare delle correzioni: in America 50 minuti di fiction costano 2 milioni di dollari, in Italia 100 minuti costano 1 milione di euro”.
Insomma contesti produttivi, consumi e mercati completamente differenti, che stanno portando una nuova contrazione della produzione nazionale a vantaggio dell’importazione dagli Usa e dall’Europa. Fenomeno già conosciuto negli anni ‘80 cui però seguì, nella metà degli anni ‘90, un’esplosione della produzione seriale italiana, soprattutto lunga - fino ad allora sconosciuta -. In attesa di una nuova curva di ‘rigetto’ da parte del pubblico all’invasione delle serie tv americane, sempre più innovative e qualitativamente interessanti a dire il vero, la produzione nazionale è tornata a concentrarsi su titoli medio-brevi, come le miniserie o le serie da 22-26 puntate.
Di certo se le reti continueranno a programmare in maniera dissennata le serie tv americane non sarà difficile ritornare alla preminenza del prodotto nazionale. Ne è un caso recente Dr. House (di cui torneremo prestissimo a parlare) spezzettato senza criterio in repliche, anteprime, prime visioni. Ma per Modina questo non è un problema, anzi “l’acquisto di serie straniere garantisce il grande sollievo della mancanza assoluta di lamentele e intromissioni da parte del cast artistico, del management sempre artistico e dei produttori”. Peccato che Modina dimentichi completamente il pubblico, sfiancato dalle cancellazioni e dagli spostamenti continui nei palinsesti delle varie reti. A parte Carabinieri 7 - produzione nazionale e quindi non rientrante nel ragionamento di Modina - cosa dovrebbero dire i fans di Heroes o Una Mamma per Amica, giusto per citare due dei casi più evidenti della stagione che si sta concludendo? I telefilm magari non si lamentano, ma il pubblico di motivi per farlo ne ha a iosa. Modina, parliamone….
fonte>televisionando.it
ps>finalmente qualcuno se n[ accorto
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